Eravamo soli, all'ombra del salice piangente. Eravamo io e la mia armonica.
Intonavo una melodia mai scritta, dettata dalla tristezza di un attimo. I pensieri mi assalivano come in punto di morte, pensavo a tutto ed a niente, al più ed al meno, al meglio ed al peggio.
D'un tratto la vidi in lontananza, ricomparve cosi come è sempre stata. La mia vita, con tutte le sue piccole imperfezioni dovute alle compagnie che non ho mai voluto, alle persone con le quali ho finto per ormai troppo tempo di star bene.
Ripongo lo strumento nell'astuccio ed il lettore mp3 mi inizia ad una sorta di viaggio sciamanico nel mondo della musica più tetra.
A volte capita di fermarmi a pensare di non essere compreso, cosi come questa musica.
Poi mi risollevo e dimentico tutto, adopero l'odio come una gomma che cancella la pena.
Suonano gli Opeth, una di quelle canzoni "tutte uguali", ma io la riconosco, è Hessian Peel.
Metto le cuffie ed alzo il volume al massimo. Mi sento a casa.
Sono quasi perso, mi lascio trasportare dalle onde della musica come un naufrago dal mare.
Penso e ripenso, poi aspetto e penso nuovamente. Alla fine dei conti giungo ad una conclusione:
questa gente non è cosi come la vedo. Sono tutti perfettini all'apparenza, le donne sono truccate, gli uomini pieni di gel per capelli, sono vestiti sempre come la moda dice. Quando passo mi guardano quasi con orrore, vedo il disprezzo che mi colpisce come schegge di una granata. Io, vestito sempre di nero, amante della notte e dei cunicoli oscuri. Io, bestia di metallo, che non comprendo "il modo giusto" di vestire, di essere, di ascoltare, di parlare, di fare. Dunque sono io che non vado bene alla società, che sono feccia perchè vesto come piace a me e non come dice qualcun altro, che sono feccia perchè odio, anzi aborro la discoteca, che parlo con un vocabolario ampio ed alle volte arcaico, che amo la solitudine e la riflessione in ogni istante. Non loro, le persone tanto perfette da vestire tutti "secondo legge", che fanno le cose perchè le fa qualcun altro, che pensano con un unico grande cervello collettivo, che lavorano unicamente per poi sperperare senza cognizione, senza un pensiero al futuro, senza sapere nemmeno chi veramente sono e cosa veramente vogliono.
Cogito dunque, nella mia mente contorta, ad una sorta di teatrino con 6 miliardi di attori. Lo guardo dall'esterno perchè non sapendo recitare, sono stato messo da parte.
Recitate, recitate. Tanto prima o poi tutti dobbiamo morire, e quando sarà il mio turno, sarò felice di avere, al contrario vostro, vissuto ogni istante della mia tetra ed emarginata esistenza, mentre voi fingevate di essere cio che non siete mai stati, ed in verità, mai lo sarete.